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Discorso Renato

 

 

Discorso del Confratello Renato Adisani in occasione della morte del Direttore Serafino Piludu.
 
Donigala 5 maggio 2004

Poche parole per una breve sintesi della vita del nostro Confratello, uno degli ultimi pionieri della Comunità, che oggi ha raggiunto la pace nel Cuore di Cristo.

Questo non vuol essere un'apologia del suo operato, come sogliono fare gli ipocriti, nell'attribuire al defunto virtù o pregi the non aveva.

Questa a storia. Quasi 70 anni al servizio della Comunità, sulla scia del nostro Venerato Fondatore.

Dal momento the ti accolse in seno all'Opera hai dovuto affrontare, come tutti gli altri Confratelli, i lavori più umili e faticosi nella più completa povertà.

Ma al Signore, che mette alla prova le anime che ama, non bastava, e per valutare maggiormente la tua vocazione, ti allontanò per ben sette anni dalla Comunità, the era divenuta la tua nuova famiglia, per svolgere il servizio militare prima e durante l'ultima guerra.

In quell'ambiente incrudelito non sfuggirono però ai tuoi superiori le doti di saggezza e di dirittura morale; ti incaricarono dell'ufficio dandoti così l'opportunità di stare nelle retrovie del fronte e salvarti.

Questo non ti salvò però dal dover affrontare, insieme a una moltitudine di commilitoni, la dura ritirata dell'Esercito dalla Russia, con tutte le tragedie che conosciamo.

E che prova! Egregiamente e Religiosamente sopportata.

Rientrato in Comunità, il Fondatore ti nominò superiore di questa Casa Madre, dove ferveva l'attività di assistenza ai minori poveri e orfani di guerra, in un clima di semplicità, di gioiosa vita e di fraternità.

E così trascorrevano, pur nel sacrificio, gli anni felici, nel lavoro, nella preghiera, e soprattutto insieme all'anima della Comunità: Padre Evaristo Madeddu.

Sei stato da noi amato, per la tua bontà, per il tuo esempio, per la tua saggezza, la tua umiltà quasi ci obbligava a volerti bene, ti facevi voler bene pur nel tuo compito ingrato.

E come non ricordare oggi i Confratelli e le Consorelle che ci hanno preceduto e che hanno dato la vita per l'Opera; che ho avuto la sorte e la fortuna di conoscere: ad iniziare da Luigi Musio, che a me ragazzino raccontò un fatto straordinario di cui era stato testimone, Antonio Vacca e Antonio Scano tutti e due morti tragicamente; Gaetano Denti e Antonio Deplano che ci ha lasciato recentemente: i classici pastori buoni descritti da Gesù; i fratelli Pruna, Ugo e Davide, religiosi esemplari; e ancora Antonio Carta e Antonio Atzeni, dai quali appresi il mestiere di muratore; e Quirino Spiga, Giacinto Murru, Giovanni Laconi, Luigi Pisu;

e le Consorelle, la gentile e umile Suor Maria Grazia, prima superiora generale dopo la morte della Fondatrice, suor Maria Letizia, Suor Maria Luigia che tanto soffrì, Suor Serafina, Suor Gesuina, Suor Candida che pochi giorni prima di morire ebbe a dire: " Quanto mi vogliono bene i Confratelli. " e di questo siamo tutti testimoni.

Tutte persone che non tornarono indietro davanti alle umiliazioni, che vissero nel sacrificio e nelle privazioni per amore del Signore, ad imitazione dei primi Cristiani, come leggiamo negli Atti degli Apostoli:

"E quando ebbero pregato, tutti furono ripieni di Spirito Santo e avevano un cuor solo e un'anima sola; né vi era chi dicesse suo quello che possedeva, ma tutto era tra loro comune. Perché quanti possedevano terreni o case li vendevano e quanto ricavato lo deponevano ai piedi degli Apostoli."

Questo era il clima voluto dal Fondatore; questo il carisma dell'Opera. - Senza, rimane soltanto l'apparenza.

Negli ultimi, anni, carissimo Serafino, ti a toccata la sorte di essere chiamato a direttore della Comunità, in un tempo travagliato, quando la defezione di alcuni, da anni latente, con tutta la sua carica di menzogna, si manifestava.

Ma, come sappiamo, già al tempo dei primi Cristiani, sono avvenute defezioni, che travisarono la volontà del Fondatore della Chiesa, tanto da far dire a San Giovanni: “Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; perché se fossero stati dei nostri sarebbero rimasti con noi; ma sono usciti, affinché venissero conosciuti, perché tutti costoro non sono dei nostri”.

Si, per questo hai sofferto, non meno della malattia, ma rassegnato alla volontà di Dio, ricordavi spesso le parole del Fondatore: - Il Signore e il fustigatore di ogni ribellione. -

Io ho fatto tutto quel che potevo! Ci penserà Lui!

Ma noi, carissimi predecessori, oserei dire santi Evaristiani, noi non vi rinnegheremo, noi continueremo sul vostro esempio e con l'aiuto di Dio questa vita, dove si soffrirà, ma dove soccorre la Divina Grazia.

E termino con una espressione bellissima del nostro venerato Fondatore, che ben ti si addice:

 

E l'anima,

adorna delle fulgidissime gemme di virtù,

ricca del tesoro impareggiabile della Grazia,

volerà nell'estremo giorno,

all'amplesso del Signore,

suo Bene amato,

per non separarsene più.

 

Copyright © 2001 Compagnia Evaristiani del Sacro Cuore
Aggiornato il: 22 giugno 2005