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BREVI CENNI BIOGRAFICI

 

 EVARISTO MADEDDU, nasce il 25 Novembre del 1890 a Villaputzu (Ca), villaggio agricolo del Sarrabus, aspra regione del versante sud-orientale dell’Isola. Il padre, Vincenzo, esercita il mestiere di fabbro; la madre, Angelina Corona, di cagionevole salute ma di grandissima fede e profonda devozione, cura la famiglia e l’educazione dei figli con amorevole dedizione. Morte prematuramente le tre sorelline, Evaristo, ancora in giovanissima età, accudisce con estremo amore la mamma, immobilizzata da una paralisi. Per tale gravoso compito è costretto ad abbandonare la scuola e a rinunciare al grande desiderio di entrare nel Seminario.

La morte della mamma, avvenuta dieci anni dopo la caduta, è, per Evaristo, un’immane tragedia: smarrimento e confusione saranno le immediate conseguenze. Recupererà lentamente il senso della vita con una maggiore vicinanza alla Chiesa e la frequenza sacramentale. Coglie nel frattempo l’occasione per riprendere in mano i libri, che il parroco e gli amici gli prestano, e riaccarezza il sogno, mai sopito, di dedicarsi interamente alla vita religiosa. All’età di diciannove anni, come in una fuga, lascia il natio villaggio e si trasferisce a Cagliari, nel tentativo di realizzare quanto prima il suo desiderio.

L’entusiasmo, come spesso accade, viene presto bruciato dal netto e talora drastico rifiuto incontrato, prima in Seminario, e poi, via via, in tutti i conventi ai quali ripetutamente bussa per esservi accolto. La sua maggiore età e l’inadeguata preparazione culturale ne sono il formale ostacolo e l’apparente, burocratica giustificazione.

Sembra il crollo di tutte le speranze.

Per sopravvivere è costretto a fare, prima il garzone di calzolaio, e poi quello di sartoria. Trova un po’ di conforto interiore quando viene ammesso in modo avventizio ad assistere i pazienti dell’Istituto Ciechi e, più tardi, i sacerdoti anziani della Casa del Clero. Una stabile occupazione la ottiene, finalmente, in una Trattoria dove è chiamato ad accudire i clienti e a rigovernare la cucina. Evaristo compie tutto con grande umiltà: usa spiccata cortesia nei confronti dei clienti e si addentra pian piano nel mondo delle ricette culinarie e dei “piatti” caratteristici, tanto cari alla tradizione.

Il Signore, però, che non perde mai di vista le anime generose, proprio in quella Trattoria, gli preparava il misterioso “agguato” che avrebbe modificato radicalmente la sua vita e lo avrebbe indirizzato alla sua vera vocazione.

Tra i clienti fissi della Trattoria, infatti, consumava i frugali pasti una non più giovanissima signorina, Beniamina Piredda, di buona famiglia, discreta, profondamente religiosa ma ancora incerta sulle scelte definitive della sua vita, la quale, originaria di Mandas, aveva ereditato dai suoi genitori una consistente quota patrimoniale.

Nei momenti di scarso afflusso di clienti le due anime, idealmente orientate ad una vita religiosa, si scambiano idee, progetti, aspirazioni, motivazioni morali; nonché il rammarico, lui per le recenti delusioni subite, lei per la mancanza di coraggio nelle decisioni determinanti.

Si ritrovano, alla fine, uniti da una perfetta consonanza spirituale e convinti di potere insieme costituire una Comunità religiosa che, nell’esercizio delle virtù cristiane e della carità verso i più umili, occupasse quegli spazi lasciati ancora liberi dalle grandi e storiche Congregazioni religiose già operanti nella Chiesa di Dio.

Il progetto fu custodito gelosamente nel cassetto della loro memoria per diversi anni giacché, fischiando i venti di guerra del 1915-1918, Evaristo fu ben presto chiamato a servire la Patria sul “fronte” e assegnato, per sua fortuna, al reparto “sanità”, dove poté curare i feriti negli ospedali.

Svolse il suo compito con grande carità, alleviando, per quanto poté, sia le pene materiali che quelle morali dei poveri feriti.

Il Signore che gli aveva negato il Sacerdozio ministeriale, sua massima aspirazione, continuava a saggiarlo nel crogiuolo della propria e altrui sofferenza, come aveva fatto fin dalla sua prima infanzia, per prepararlo ad essere guida attenta e amabile di tantissimi fratelli e sorelle che, nel corso degli anni futuri, sarebbero cresciute sotto le sue ali di sensibile educatore. Rientrato a Cagliari dal fronte di guerra, fra lo sbandamento di tante coscienze ancora colpite dai lutti e dalle rovine, attingendo alle risorse rese disponibili dalla signorina Beniamina, prepara un locale dove accogliere quotidianamente intorno a sé un gruppo di studenti e di giovani lavoratori.

Con le parole suadenti che gli vengono dal cuore, infonde in loro vigore e fiducia nella vita; racconta della bontà di Dio che ama gli uomini al di sopra delle loro miserie; li stimola al ritrovamento di motivazioni ideali, alla necessità di aiutare i meno fortunati tra i fratelli e a vedere in tutti gli uomini il volto di Dio.

Queste parole uscite dalla bocca di un laico, privo, per giunta, di titoli accademici e ... canonici, mentre per un verso creano grande suggestione nei giovani, tra cui molti universitari, che lo ascoltano e gli si stringono d’intorno, creando quasi una confraternita con reciproca interna solidarietà, dall’altro verso suscitano molta perplessità e motivo di interminabili chiacchiere nei palazzi e nei salotti della città.

Ancora più grande sarà lo sconcerto dei benpensanti quando alcuni di questi giovani, di diversa estrazione sociale, si trasferiranno con lui a Mandas per la costituzione della prima vera Comunità dei “Confratelli del Sacro Cuore” dove, vestendo l’abito conventuale, impiegheranno la loro giornata nella preghiera, nel lavoro e nel silenzio, come monaci di antica tradizione.

Ad essi il padre Evaristo, (come ormai tutti lo chiamano), insegnerà l’arte di vivere in amicizia con Dio, di ritrovarsi in pace con la propria coscienza e di esercitarsi nella virtù dell’umiltà. Edificheranno insieme le case della loro abitazione, cuciranno gli abiti che portano indosso, risuoleranno le scarpe, costruiranno i mobili, si avvicenderanno in cucina, alleveranno gli animali.

Questo la vita gli aveva insegnato, questo generosamente trasmette ai suoi amici divenuti confratelli. Insegnerà un mestiere a giovani senza futuro, aprirà scuole e asili per fanciulli e bimbi abbandonati. Le mormorazioni e, talvolta, le calunnie non lo sconvolgeranno più di tanto. Lo hanno fatto soffrire, ma non gli hanno impedito di continuare la sua opera che andava sempre più estendendosi con numerose domande di accoglienza. Ben presto alla costituzione della Comunità maschile fece seguito quella del ramo femminile, governata dalla saggia e pia cofondatrice Madre Beniamina Piredda.

Un fatto che fece aumentare a dismisura le malevoli insinuazioni e che portò anche a provvedimenti disciplinari da parte della Autorità Ecclesiastica: fu richiesto in via amministrativa l’abbandono dell’abito conventuale e decretato il ritiro di ogni assistenza religiosa da parte del sacerdote, del quale, peraltro, P. Evaristo sentiva urgente necessità per la vita spirituale e sacramentale sua e dei confratelli.

Fu questo per il Fondatore un fatto estremamente doloroso che gli fece versare lacrime amare. Fu certamente il momento più critico della sua avventura spirituale. E tuttavia neanche questo bastò a scoraggiarne le iniziative e i progetti.

Per il grande rispetto sempre dichiarato e dimostrato nei confronti della autorità della Chiesa gerarchica, per la somma fiducia in Dio, che gli aveva ispirato la formazione della Comunità religiosa, accettò anche questa terribile prova; e da uomo di grande virtù, quale realmente era, chinando il capo e pregando, aspettò che la bufera passasse. Una bufera che durò molti anni e che avrebbe sicuramente travolto qualunque spirito che non avesse avuto la sua tempra.

La “bufera” finalmente cessò e il tempo volse decisamente al bello quel 3 Aprile del 1965, quando Mons. Sebastiano Fraghì, Arcivescovo di Oristano, andando a fargli visita in Comunità, recò con sé, firmato, il Decreto di riconoscimento canonico della “Compagnia Evaristiani del Sacro Cuore”.

Fu un giorno di gioia straordinaria, per P. Evaristo. Si vide improvvisamente e abbondantemente compensato dal Signore di tutte le prove subite, di tutte le fatiche affrontate e di tutti gli ostacoli superati nel lunghissimo corso della sua vita operosa. Fu il coronamento ufficiale di un progetto singolare, perseguito con fiducia e costanza: quello di dare a Dio una nuova famiglia religiosa che Lo adorasse in umiltà e semplicità e Lo amasse nei Suoi fratelli più piccoli.

Una nuova stagione di luce e di sole si apriva per la Comunità nel segno di una totale intesa con l’Autorità religiosa e di un completo inserimento nel contesto dell’attività pastorale e assistenziale cui partecipava con legittimo orgoglio e dedizione. Purtroppo, ad un anno esatto da questo riconoscimento, compiuta ormai la costituzione dell’Opera, il “servo buono e fedele” viene chiamato dal suo Signore a ricevere il premio promesso agli operai della “vigna” e a entrare nel “gaudio” del Suo Regno. Al 10 di Aprile del 1966 Padre Evaristo, conscio della sua prossima fine, col cuore gonfio di tenerezza, lascia la “Casa Madre” della sua Fondazione (l’aveva vista crescere fra le mani dei confratelli) e si trasferisce a Cagliari nella ricerca di una migliore assistenza per il suo cuore stanco.

Guarda per l’ultima volta i muri della sua celletta; la chiesetta, testimone silenziosa dei lunghi colloqui con Gesù Eucaristia, suo Amore Crocifisso, e delle grandi effusioni spirituali con la sua famiglia religiosa, tutta intenta ad ascoltare le sue ardenti parole. Guarda ancora i lunghi viali; gli alberi frondosi, immagine visiva della grande speranza che albergava nel suo cuore. E poi va ! Va a bere l’ultima goccia del suo calice amaro che lo portava a morire “fuori le mura” della sua Comunità, come il Divino Maestro.

Il 6 Aprile 1966, mercoledì della “Settimana Santa”, vigilia della “Grande Cena del Signore”, chiude gli occhi alle realtà del mondo per aprirli alla contemplazione del Padre e della Sua Gloria.

Rimangono sconsolati a piangerlo 35 confratelli religiosi e altrettante suore sparse in dieci comunità attive; lo piangono centinaia di bambini assistiti e un numero incalcolabile di amici che avevano goduto della sua vicinanza, della sua amabilità e della sua ricchezza spirituale. Sentiranno per lunghissimo tempo il vuoto di quella grande assenza.

Il Padre se ne va lasciando una Comunità fiorente, prospera d’iniziative e animata da rispetto e stima reciproca.

E per quanti continuano ad amare l’Opera del Padre Evaristo, a vivere con coerenza il suo “mandato” e a seguirne l’esempio, resta ferma la convinzione che il suo cuore, oggi più vicino a Dio, vigila amorevolmente sulle sorti della famiglia Evaristiana. 


Articoli e recensioni su Evaristo Madeddu.

  • La carità é industriosa, La Carità (Periodico per le associazioni di carità di Sassari), Gennaio 1935
  • Farà l'elettricista l'orfanello di Donigala, L'Unione Sarda, 9/11/1948
  • Ordinazione Sacerdotale, Sardegna Cattolica, 4/9/1946
  • Ricordo di Padre Evaristo, L'Unione Sarda, 3/6/1966
  • Dagli Evaristiani un retaggio di fede e di lavoro, L'Unione Sarda, 3/4/1986
 

 

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Aggiornato il: 22 giugno 2005